La banca del germoplasma e la birra di farro

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GARFAGNANA ….DOVE IL TEMPO NON CORRE…PARTE SECONDA

E’ sabato mattina e la giornata si presenta ancora uggiosa, ma per fortuna, non piove.

Dopo colazione ci ritroviamo ancora tutti sul mini bus per proseguire col nostro appassionante tour.

Ieri siamo stati trasportati nel passato, nel magico medioevo… e oggi? Oggi sarà una giornata più tecnica, più moderna, legata all’economia di questa terra incantata….dove tutto e tutti sembrano muoversi per crescere insieme, con un fortissimo concetto di comunità, cosa ormai rara nelle grandi città.

Ci troviamo a Camporgiano al “Centro la Piana” dove la dottoressa Fabiana Fiorani insieme a Sandro Pieroni, dell’Unione Comuni della Garfagnana, ci spiegano cos’è la banca del Germoplasma.

Orto

Negli anni ’60 circa, i vivai forestali, dove venivano coltivate le piante utili al rimboschimento delle foreste, vennero dismessi, dandole a privati. La Comunità Montana rilevò e mantenne attivo il centro La Piana per mantenere vivo lo sviluppo dell’agricoltura della zona e conservare alcune specie autoctone della Garfagnana, tra cui il farro e le castagne.

Il centro La Piana è una delle 11 banche del Germoplasma, ma è atipica rispetto alle altre in quanto non è legata ad istituti scolastici o università, ma è  fortemente collegata con il territorio e con gli agricoltori di zona.

Ma che ruolo ha una banca di questo genere?  Principalmente di conservazione del patrimonio genetico vegetale locale. Mantenere quindi vive e produttive tutte quelle colture che si possono definire autoctone o che, comunque, nel tempo, si sono perfettamente adattate al territorio e fanno parte dell’indotto produttivo.

Il centro ha inoltre il compito della divulgazione delle tecniche di coltivazione biologiche per la gestione delle colture e la difesa di tutte le varietà presenti sul territorio stesso. Compito affascinante e complesso direi, ma quanto è importante? Fondamentale… e di progetti del genere, l’Italia, dovrebbe esserne piena… ma per seguirlo occorre tenacia, buona volontà  e tantissimo amore per la propria terra… non facile da trovare ovunque. Nè  tanto meno, trovare questo concetto così  radicato di comunità. Solo a sentirne parlare ci si sente coinvolti.

Il centro ha ancora la funzione di vivaio forestale… solo così si è potuto studiare e coltivare dei castagni, per poter combattere il Cinipide galligeno che ha infestato quasi tutto il territorio italiano, lasciandoci senza questi gustosissimi frutti per parecchi anni. Solo così si può combattere l’importazione di piante dall’estero che oltre a non essere nostre, portano malattie che destabilizzano le varie colture innescando un sistema di importazione anche di cibo dall’estero, ma come detto più  volte, l’Italia ha ormai poche eccellenze… una è sicuramente il cibo …cerchiamo di mantenerlo tale.

Nel centro sono presenti 50 vitigni diversi. Non tutti sono toscani, molti arrivano dal nord Italia. Ma più di 20 sono proprio originari di zona. Nel tempo i vitigni sono stati importati per meglio adattarsi al territorio impervio. I grappoli ancora presenti sulle piante sono meravigliosi… tanto belli da sembrare dipinti. E ogni tipo di uva viene utilizzato per produrre un vino specifico senza mescolarlo ad altre…. si sta provando a fare anche uno spumante garfagnino… e sembra che la cosa stia abbastanza funzionando. Il terreno del centro non è prettamente adatto alla coltivazione della vite, ma questo è il terreno che c’è e viene sfruttato al meglio.

Uva

Insieme alle viti ci sono varie varietà  di piante da frutti, dalle susine, ai peri, ai meravigliosi meli… se l’uva è  uno spettacolo, le varietà  di mele lo sono ancora di più. ..e che emozione poterle raccogliere e riempirne un cesto… che profumo… e che gioia poterle addentare con sicurezza… viene fatto un solo trattamento insetticida all’anno su queste piante, il minimo indispensabile… quando ci capita un’altra volta un’occasione del genere??? Va decisamente sfruttata

mele

C’è anche un orto con varie specie di verdure… la cosa simpatica e che il centro interagisce con la comunità e qui si invitano i bambini delle scuole ad andare a seminare  e a seguire tutto il percorso  di crescita della pianta fino alla raccolta dei frutti… i bambini sono entusiasti naturalmente … ma vi immaginate la soddisfazione? E tutto ciò che comporta una sperimentazione del genere: conoscenza delle colture e del proprio territorio… rispetto per il cibo…educazione e sensibilità. .. per me saranno adulti migliori, poi magari, il mio romanticismo ha troppo il sopravvento. ..voi che dite?

Qua c’e la conservazione sia del seme nelle celle frigorifere, che in terra, quindi delle piante. Gli agricoltori portano qua frutti e semi, in modo che tutto venga catalogato e studiato geneticamente in modo da poter fare delle selezioni mirate. Le grosse multinazionali contrastano sempre più questa cosa, perchè  ormai la grande produzione funziona su sementi che non sono riproducibili di anno in anno,  ma qui si cerca di selezionare le sementi in modo da poterle registrare comunque all’ Ente nazionale sementi elette e poterle quindi commercializzare in modo che si mantengano vive speci e purezza.

La diffusione dei semi  viene fatta lo stesso fra vicini, fra amici e in fondo basta anche solo quello, in quanto la Garfagnana non sarà  mai terra dalle grosse produzioni … però , solo così  si potrà  dire con sicurezza cosa mangiamo…ma pensate a quanto lavoro ci sta dietro e quanto bisogna combattere… il tutto sembra un po’ donchisciottiano , ma complimenti a questa terra e ai suoi abitanti, hanno il mio massimo  rispetto.

Ma torniamo alle mele… Casciana,  Belfiore,  Biancona, Del Giappone (località  della Garfagnana) , Lucchese e via dicendo… raccolte ad ottobre,  si mantengono fresche fino a primavera… mele della Madonna del Carmine che matura di luglio, la Santa Maria che matura in agosto… insomma varie specie per assicurarsi tutto l’anno un prodotto fresco e genuino.
Le mele che vengono raccolte vengono date nel circuito dell’agricoltura sociale e quindi trasformate in marmellate e gelatine.
Sotto le piante c’è pieno di frutti caduti e noi ne facciamo il pieno… stasera dovremmo cucinare con i prodotti  raccolti nel nostro tour… e con questi meravigliosi frutti, le idee sono infinite …

Sandro ci fa vedere anche una ‘pera figura’, gigante, meravigliosa, ma praticamente non matura mai… infatti viene utilizzata solo per bellezza o per darla ai maiali… la natura ha un fascino pazzesco…

Tutte specie antiche, autoctone… l’ho già  detto che la Garfagnana è  una terra meravigliosa vero???? Penso che lo ripeterò  spesso in questi report. ..
Ma torniamo alla banca del Germoplasma.

Visitiamo anche l’interno vero e proprio della banca: un armadio refrigerato dove sono raccolte e catalogate le varie specie di sementi.

semi
Ci sono due diversi tipi di conservazione: “ex situ”, cioè  fuori dal luogo di origine e “in situ”,  ovvero nel luogo di origine.Tutto ciò  che ho raccontato fino ad ora: la banca del Germoplasma con l’armadio, l’orto e i frutteti possiamo definirli “ex situ”… in situ allora, cos’è?  Sono i campi degli agricoltori custodi…già  il nome evoca immagini di personaggi fantastici,  buoni e amorevoli verso le loro colture… e in effetti lo sono. Sono agricoltori preposti alla riproduzione dei semi conservati nella banca del Germoplasma e sono coloro ai quali vengono date tre piante per ciascuna specie che hanno il compito di coltivare e conservare al meglio comunicando ogni tipo di mutazione e/o caratteristiche particolari che nel tempo, le piante possono prendere. Non vengono scelti a caso: devono essere agricoltori di comprovate capacità , persone che lo fanno già di mestiere da anni, proprietari  di terreni e agriturismi e che hanno magari fatto percorsi di studio mirati. Attualmente c’è ne sono circa una trentina iscritti all’Albo regionale.Ormai completamenti rapiti da tutta questa storia della banca di conservazione del seme, risaliamo sul nostro mezzo, e Carmine ci accompagna da uno di questi uomini che poi scopriamo essere il marito della dottoressa Fiorani.
Se la moglie è  una forza della natura,come tutte le piante che la circondano, il marito non è  da meno. Con passione ci racconta come fare l’agricoltore non sia certo un mestiere semplice .
E come sia fondamentale il ruolo di coltivatore custode in quanto solo reintroducendo i cicli produttivi locali di varietà  quasi estinte, si potrà  dire che la salvaguardia della specie è  effettivamente in atto.Arruolati spintaneamente… si..si… la dottoressa Fiorani ha utilizzato proprio questo termine, ad alcuni coltivatori custodi sono state date specie ormai veramente estinte, tra cui il ‘melo morto’ un povero melo che solo a vederlo fa compassione poveraccio… fa piccolissime mele tutte butteratte e foglie che sembrano già  secche alla nascita… è  minimamente produttivo e diciamo che gli è  stato dato proprio questo nome in quanto le piante erano talmente mal messe che non si poteva usare altro termine. Ma come giustamente sottolinea Fabiana, tutte le specie vanno protette…anche le meno rigogliose. E tutte le varie specie, facenti parte di una stesso genere, tipo il granoturco 8 file , non può  essere piantato vicino ad un altro tipo di granoturco, altrimenti entrambi diventerebbero una specie mista diversa e non più autoctona… sembra quasi superfluo dirlo, ma se ci si pensa bene, ha una logica ben definita.

Il nostro agricoltore custode non sarà  il fascinoso cavaliere che ci eravamo figurate strada facendo, ma lui e la moglie sono due persone veramente speciali e simpaticissime … e sentire i loro racconti, la passione per il loro lavoro, che io chiamerei una vera e proprio missione, è  talmente bello che non c’è ne saremmo più andati.

Ma ci aspettano a Piazza al Serchio, in località  Tato Colognola,  al birrificio La Petrognola. Qua ci aspetta Roberto Giannarelli, proprietario e mente eclettica del birrificio. Ci vestiamo di tutto punto, in quanto nel birrificio non può entrare  null’altra sostanza  degli ingredienti della birra stessa, perché potrebbe contaminarla.

La sanificazione è  fondamentale in tutto il processo, altrimenti tutto la birra in produzione andrebbe buttata. E questo processo comporta un investimento economico giornaliero di un certo spessore. Quindi, oltre alla vestizione, ci passiamo le mani con il gel disinfettante ed entriamo nella parte produttiva. Ogni contenitore presente, ci fa notare fin da subito Roberto, quando viene svuotato, viene lavato con soda caustica per 40 minuti a 80° , lo si risciacqua con acqua e lo si sanifica con peracetico per 20 minuti e  poi si risciacqua ancora con abbondante acqua. L’acqua stessa, pur potabile, deve passare attraverso dei filtri a 30 micron con i carboni attivi.

Passiamo davanti ai frigoriferi con luppolo e lieviti e all’angolo con tutti i macchinari di calcolo. Ogni fase del processo di fermentazione viene regolato attraverso delle macchine computerizzate che funzionano ‘macinando’ dati matematici in modo che nulla sia lasciato al caso. Roberto fa questi calcoli preventivamente, ma le macchine aiutano a mantenere controllato tutto il processo e a verificare che tutto sia fatto in maniera corretta.

birrificio 1

Attraversiamo il laboratorio facendo attenzione al racconto di tutto il procedimento. Stare dietro a Roberto non è  semplice. Ci dà una serie di informazioni che per me sono completamente nuove.  La birra mi piace abbastanza, ma la bevo raramente essendo praticamente astemia,  e sicuramente non mi sono mai soffermata sul processo di produzione.

Oltre all’ angolo adibito alle analisi e ai calcoli, tutto il resto dello spazio è occupato da una serie di contenitori e ognuno di esso è  una macchina a sé, controllata elettronicamente per la temperatura. Tutte sono poi collegate ad un gruppo frigo che abbatte la temperatura a secondo della necessità.  Il primo passaggio fondamentale è l’abbattimento dei lieviti prima di passare in centrifuga.

Ma andiamo con ordine: si parte dalla macinatura dei cereali…oggi effettuata in 15 minuti, evoluzione importante, in quanto più  velocemente si fa la macinatura, meno esiste il rischio di ossidazione.

Praticamente macinatura e inizio dell’intero processo avviene in contemporaneamente.

Si inizia a introdurre i cereali macinati nella caldaia dove avviene la prima  cottura.
L’ acqua, nella caldaia, viene portata dai 40 ai 47° ed occorre un lasso di tempo pari a quello della macinazione, quindi viene immesso il cereale macinato.
Poi si porta il tutto a 52°, la prima vera fase del processo, che si chiama proteasi, fase in cui si vanno a disgregare le proteine. In questa fase si rimane a secondo del cereale che si sta utilizzando.
Se si usa un cereale crudo come il farro, su questa fase ci si sta un tempo maggiore. Se il tempo di questa fase non dovesse essere corretto avrei un accumulo maggiore di proteine e quindi un intorpedimento del prodotto finale.
Un tempo giusto… nè  troppo lungo nè  troppo corto. Se si dovesse lasciare per un tempo troppo lungo andrei a vanificare la formazione della schiuma che è  ottenuto grazie alle proteine … e una birra senza schiuma non si può  vedere!

Se invece si fa senza cereali crudi si porta direttamente a 62°…. la betamilasi, fase in cui l’amido viene trasformato in zuccheri semplici, completamente fermentescibili. Da lì  si porta solo alcool e CO2 e la birra verrà  quindi secca e alcoolica, se invece la si vuole anche dolce e corposa, occorre una ‘sosta’ a 72° , fase detta alfamilasi,  dove l’amido viene trasformato in zuccheri complessi, che non sono completamente fermentescibili. Questi non tutti vengono dispersi, quindi può  capitare che dopo l’imbottigliamento, facciano proseguire la fermentazione e quindi la produzione di gas con la conseguente ‘esplosione’ della bottiglia. Per questo, molti produttori mettono la gabbietta metallica, per evitare ogni rischio. Roberto questo non vuole farlo e preferisce essere molto meticoloso nei calcoli e nelle fasi produttive.

Ma quanto è  complesso fare la birra? E anche in questo caso, quanta passione ci vuole per ottenere un prodotto di eccellenza?

Ma torniamo al procedimento: a questo punto, attraverso un molinello si separano le parti solide da quelle liquide a cui si aggiunge ancora acqua calda a 76° per avere un giusto equilibrio fra tutti gli elementi. I 76° hanno un loro perché : l’acqua è  un solvente naturale, se la temperatura fosse troppo alta si scioglierebbero gli zuccheri che andrebbero a finire sul fondo, quindi si formerebbero i tannini quando l’acqua entra a contatto con le bucce, e questi ultimi non devono essere assolutamente  presenti nella birra, e ci sarebbe presenza di enzimi, anche loro elementi indesiderati.
Ora si può  procedere con la bollitura di un’ora e mezza circa. In questo lasso di tempo le proteine si vanno a coagulare creando come dei fiocchi di neve, questi devono essere grandi, e sono sintomo che tutto il processo ha funzionato alla perfezione.
In questa fase di bollitura si inserisce il luppolo. Lo si mette in diversi tempi, a secondo dell’aroma che si vuole dare al prodotto finale.

Il luppolo è  stato utilizzato molti anni fa da una suora. Nei tempi antichi non c’erano i frigoriferi, e le birre venivano tenute nelle grotte, ma lo stesso non avevano durata molto lunga. Questa suora, utilizzando il luppolo per aromatizzare, scoprì  che era anche un ottimo conservante.
Quindi si cominciò  ad utilizzarlo anche per quello.

Finita la bollitura si trasferisce il mosto, ricco di tutti i suoi elementi, attraverso dei tubi e facendolo prima passare attraverso il wirpool (mulinello). La parte solida si trasferisce sul fondo. Dopo mezz’ora si riesce ad aspirare il liquido e successivamente filtrato. A questo punto gli si abbatte la temperatura che durante la bollitura arriva intorno ai 98°
Si porta la temperatura intorno ai 25° e si immette il liquido nel fermentatore attraverso delle tubazioni. Ogni spostamento avviene al chiuso, contenitori, tubi ecc, tutto è  perfettamente sigillato e chiuso ermeticamente, con le mani non si tocca nulla.
A questo punto si aggiunge un po’ di ossigeno che serve per far partire i lieviti. I lieviti all’inizio sono anaerobici per poi diventare aerobici.
Il lievito produce alcool per far si che altri batteri non lo disturbino mentre lui ‘mangia’.
Qui una mezza bottiglia di plastica collegata al contenitore in acciaio, in cui viene mantenuto parte del liquido, da visivamente l’idea del grado di fermentazione e si agisce di conseguenza, sulla temperatura.

birrificio2
Dopo 3 settimane si passa all’imbottigliamento dopo che il liquido viene filtrato ulteriormente.

Al caso non viene lasciato nulla… si vedono tutti questi contenitori chiusi, ma il controllo visivo avviene in ogni passaggio attraverso delle botole.

La ricetta per una birra particolare Roberto, prima la pensa, la sogna, poi comincia a immettere calcoli … et voilà. .. ecco che comincia la magia… mai pensato che la birra potesse essere un argomento così affascinante… mi devo ricredere.

C’è un’altra particolarità che vorrei evidenziare : l’unico prodotto italiano è il farro. I vari tipi di luppolo vengono dall’estero, come l’orzo, perché deve essere maltato.

Una volta imbottigliata, in bottiglie che arrivano direttamente sterili dalla fabbrica, la birra viene immagazzinata in un locale a temperatura controllata e qui si prosegue con l’ultima fermentazione.

Roberto ci ha fatto assaggiare una birra non ancora pronta, ma con un profumo di frutti tropicali pazzesco.

Per fare una buona birra occorrono complessivamente 2 mesi circa.

Facciamo l’assaggio contemplando i sacchi di cereali… Roberto continua a trasmetterci tutto il suo entusiasmo…

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Secondo la tipologia di birra scelgo la nazionalità di luppolo… Belgio per la birra rossa … Inghilterra per la birra scura… Germania e repubblica ceca per quella birra bionda.

Abbiamo l’onore anche di sgranocchiare qualche grano di orzo maltato… Per fare il malto si mette l’orzo in acqua per farlo germinare si porta a temperatura per farlo rigonfiare. Si mette poi nelle camere di germinazione dove spuntano le ratichette che altro non sono che piccole radificazioni. Da qua, il malto passa poi nelle camere di essicazione dove viene essicato a 40° circa . La temperatura varia in funzione del sapore che si vuole dare al malto stesso. In questa fase, la germinazione, si blocca. L’orzo viene poi fatto tostare per dare colori e aromi diversificarti.

Questi grani così saporiti e croccanti, potrebbero essere utilizzati per fare un ottimo ed originalissimo caffè d’orzo.

A questo punto di può affermare che la birra è un prodotto totalmente naturale… se si può dire così…certo, a livello di ingredienti lo è di sicuro, ma il processo produttivo implica attenzione e una profonda conoscenza anche della chimica degli alimenti stessi.

Quante emozioni… bellissime e entusiasmanti… ma sono le 13 passate e il nostro appetito comincia a farsi sentire. Antonella Poli ci accompagna a pranzo all’azienda agricola “Il Grillo” dove ci aspettano piatti genuini e saporitissimi e ottimi prodotti da acquistare e portare a casa.

L’azienda si trova nel comune di Giuncugliano, il paese più in alto, in quota, della provincia di Lucca.

Facendo correre lo sguardo si riescono ad apprezzare il verde dei boschi e le cime montuose delle Alpi Apuane. Come tutti i luoghi ameni e abbastanza isolati, sovrasta ovunque la tranquillità.

Ci accolgono Stefano Bertolini con la sorella.

Ci mostrano il camino all’ingresso e la lunga tavolata a cui ci fanno accomodare. Ci raccontano come la loro è una azienda ancora giovane…loro sono giovani…ma l’entusiasmo c’è ed è sufficiente per mantenere viva un’azienda in tempi difficili e in una zona che non si trova su grandi vie di passaggio. Qui ci si viene per fare trekking, per immergersi nella natura, per trovare silenzio… qui si viene apposta per ritrovare i sapori di una volta.

Infatti il menù è sopraffino, semplice e genuino, carico di sapori e gusto.

  • Antipasto di farro, con arancini di farro e quiche di cipolle e cipolle con base di pasta al farro… adornati con basilico viola profumatissimo
  • Tagliatelle di farro con purea di ortiche con ragù di rosmarino e salsiccia
  • Crostata al farro cotto nel latte di vacca
  • Biscotti secchi ripieni di marmellata di susine

Grillo3

Insomma, tutto una vera delizia gustata in ottima compagnia.
Prima di ripartire non possiamo esimerci dal fare incetta dei prodotti che l’azienda ci propone, marmellate, farine, farro… insomma una vera manna per noi appassionati.

Grillo2

In Garfagnana il tempo sembra non scorrere, da molti punti di vista, ma per noi si, e ci aspetta la visita al Caseificio Marovelli di Vibbiana. Quindi caricati pacchetti e pacchettini e tutti noi, ci spostiamo verso il Comune di San Romano, nella piccola frazione di Vibbiana.

Ormai ci stiamo prendendo l’abitudine a spostarci su queste strade irte e strette, immerse nei boschi, dove all’improvviso la visuale si apre e cosa ti vedi sul promontorio di fronte? La fortezza delle Verrucole, in tutto il suo splendore e illuminata da un pallido raggio di sole. E’ imponente e meravigliosa e per un attimo ci riporta al giorno prima e al nostro vivere il medioevo nel cuore.

verrucole

Ma ho detto che oggi è una giornata ‘moderna’, quindi salutiamo con entusiasmo il sig. Marovelli… forse con troppo entusiasmo… quando ci ha visti così pieni di energia e armati di macchine fotografiche è rimasto un po’ spiazzato, ma lo stesso ci ha fatto fare un veloce giro panoramico della sua azienda. Qua vengono prodotti formaggi freschi, stagionati e conciati (stagionati nelle foglie con aromi particolari), oltre a dell’ottimo yogurt, al burro e alla ricotta.

caseificio1

Purtroppo, essendo domenica, non ci è dato modo di vedere il caseificio in fase produttiva, ma ci viene raccontato come qua si tende a fare una produzione d’eccellenza, con latte di mucca e di pecora garantiti e di alta qualità.

Lui e la sorella Romina sono la terza generazione che porta avanti l’azienda, ma la linea qualitativa si è mantenuta e si mantiene nel tempo.

Con orgoglio ci mostra le celle di stagionatura e alcuni prodotti, fino a portarci all’angolo shop e naturalmente alla degustazione.

caseificio2

Si sta facendo tardi e noi dovremmo tornare in albergo, con il nostro bottino, e darci da fare in cucina… ma sarà il tempo, saranno le emozioni raccolte in questa giornata, metteteci anche un po’ di voglia di relax, alla fine accogliamo con gioia la notizia che la cena ci verrà offerta dal ristorante La Lanterna dove i nostri palati sono stati deliziati da un menù stupendo… poteva essere altrimenti?

Crespelle al farro, carne tenerissima, dolcini deliziosi …il tutto bagnato da ottimo vino locale… insomma, a noi è andata bene, e forse anche in cucina si sono rilassati non vedendo un’orda di pazzi armati di grembiule, macchine fotografiche e smartphone ai fornelli 😉

cena

E ora a nanna, nella speranza che domani ci sia un po’ di sole per poter visitare il metato e i castagneti.

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